RAPPORTO TRA DEBITO PUBBLICO E POPULISMO

RAPPORTO TRA DEBITO PUBBLICO E POPULISMO

Il 2020 è sicuramente un anno particolare, in cui ad una crisi sanitaria si aggiunge una crisi economica e demografica, frutto di 25 anni di crescita stagnante quando non addirittura recessione mascherata, bassa produttività e la crisi del 2008-2012 non ancora superata. Il tutto probabilmente aiutato da un sistema politico e decisionale poco efficace e stabile.

Ovviamente è molto difficile prevedere cosa succederà nei prossimi anni ma si può guardare al nostro passato e ai pattern che si ripetono per capire come il nostro Paese si potrebbe muovere e che  sfide avremo da affrontare nel futuro. Superata la fase più acuta dell’emergenza sanitaria, come sembra che sarà nei prossimi mesi, dovremmo fronteggiare tutte le sfide della ripartenza e sarà vitale saperlo fare con coerenza e visione, per poter disegnare un progetto coerente per il nostro Paese e contribuire a quello europeo, senza subire decisioni altrui. Legatissima a quella economica, l’Europa ha un’altra sfida da affrontare, infatti, che è quella politica: con la fine dei programmi di sostegno del governo e la piena riapertura delle attività, milioni di persone probabilmente avranno perso il lavoro e interi settori saranno in ginocchio. Queste persone volgeranno la loro rabbia e la loro frustrazione per un futuro incerto al governo, sia nazionale che europeo, in cerca di risposte ed è fondamentale saperle fornire, pena la disgregazione del progetto unitario e la crescita dei populismi.

Un rapporto poco studiato, se non in un recente paper dell’ex governatore della Banca d’Italia Visco o dal fondatore dell’hedge fund Bridgewater Ray Dalio, è infatti quello storico tra crisi del debito, crisi economiche e nascita dei movimenti populistici. Semplificando, la tesi è infatti che i Paesi percorrono cicli di espansione e contrazione, durante i quali talvolta sviluppano troppo debito per fondare la crescita, per poi attraversare periodi di crisi dove le bolle si sgonfiano, le imprese poco competitive escono dal mercato, si sviluppa nuova innovazione e cosi poi la crescita. Il problema nasce però quando questi cicli escono fuori controllo o vengono ingigantiti da eventi esterni, come guerre o pandemie. O tutt’e due assieme.

Prendiamo infatti l’esempio classico della Germania dopo la prima guerra mondiale: Berlino, durante tutto il periodo della guerra, finanzia i colossali sforzi bellici richiesti in due maniere. La prima è emettendo debito in franchi soprattutto per il mercato interno, la seconda è emettendolo in franchi oro (ovvero legati al valore dell’oro, e quindi poco svalutabili) per i mercati internazionali. La guerra che doveva durare pochi mesi dura però anni, la Germania perde e, prostrata dalla sconfitta, è costretta a ripagare i debiti interni, quelli internazionali e le ingentissime riparazioni di guerra. Nel momento quindi in cui è caricata da un debito praticamente impossibile da ripagare, il mondo però viene colpito in 3 diverse ondate da una pandemia, la Spagnola, che miete, secondo certe stime, più morti della guerra stessa, colpendo soprattutto la fascia 20-40 anni, già decimata dalla guerra e fondamentale alla ricostruzione, esacerbando la già difficile situazione.

Ora, se il debito interno non è un problema, perché l’inflazione galoppante lo elimina quasi in pochi anni, il debito estero è denominato in franchi oro e quindi rimane. Il problema poi peggiora se una potenza ostile detiene parti importanti del tuo debito, ovvero le riparazioni di guerra rigidamente precise dalla Francia, che occupa militarmente il bacino della Rhur, da cui la Germania estrae le risorse per tentare di ripagare il debito stesso. In quel momento infatti il dilemma francese probabilmente è se permettere alla Germania di risollevarsi in fretta e avere di nuovo un vicino potenzialmente minaccioso, o tenerla sotto scacco per diminuire la minaccia. La Germania, con molta fatica, riesce ad uscire progressivamente da questo circolo vizioso ma la situazione lascia una grossa cicatrice sia economica che politica. Quando nel 1929 la crisi degli USA arriva sul continente, infatti, il già fragile tessuto sociale crolla e politicamente viene spinto verso gli estremi, con i nazisti e i comunisti che acquisiscono moltissimi consensi tra la popolazione e rendendo il Paese poco governabile, fatto che favorisce poi l’ascesa al potere di Hitler.

Ovviamente abbiamo semplificato per amor di esempio, ma se le analogie debito-pandemia-situazione sociale problematica-populismi suonano familiari, è perché effettivamente lo sono. Quando un Paese si trova in una situazione di bassa crescita, spesso sviluppa debito per rimandare le riforme necessarie, soprattutto con un governo frammentato come il nostro, che, con una vita media di circa 1 anno e mezzo, è necessariamente più concentrato sulla manutenzione della maggioranza che sulle riforme. Nel momento in cui una pandemia accelera e porta allo scoperto problematiche già in atto, si va quindi a verificare una situazione sociale esplosiva, facile preda delle facili risposte dei populismi. Questo è vero in Italia ma non solo: c’è per esempio uno studio interessantissimo sulla relazione delle aree urbane che hanno subito un forte crollo dei prezzi delle case in Ungheria nel 2008-2012 e quelle che hanno votato Orban.

Fortunatamente le analogie con la Germania si fermano qui: non siamo passati da nessuna guerra, il nostro debito non è legato al dollaro e tantomeno detenuto da una potenza straniera nostra nemica, come la Francia all’epoca, e il Covid non è certo la Spagnola. Alti debiti nazionali inoltre, nel post pandemia, saranno il new normal e il Next Generation EU è un forte segnale politico. Questo però non vuol dire che la situazione sia priva di sfide. Alle elezioni regionali di Settembre in Italia è sembrato che i partiti populisti abbiamo perso terreno in favore dei partiti piu’ “tradizionali”, e questo probabilmente è dovuto al fatto che il Paese era ancora in luna di miele con l’esecutivo e lo ha premiato per la gestione della crisi. Questo scenario però potrebbe mutare radicalmente quando il pieno impatto economico e sociale nel 2021 apparrà evidente, e il populismo sarà pronto a raccogliere in consenso.

Abbiamo l’occasione di ripensare l’impianto europeo e i nostri sistemi economici, per spingerli verso una maggiore efficienza, uguaglianza e finalmente una crescita che è mancata sostanzialmente negli ultimi 20 anni. Le prossime sfide, inoltre, non verranno dall’intero (la Francia con la Germania del 1920) del continente, ma dall’estero, con gli scontri Usa e Cina all’orizzonte, le migrazioni e il cambiamento climatico. Questo è uno di quei make it or break it moments per il nostro continente, e sta a noi affrontarlo con le scelte e le decisioni appropriate.

Marco Lucchin