13 Nov Cosa prevede la Legge sull’omofobia approvata alla Camera dei Deputati
Il testo di legge approvato dalla Camera, la cosiddetta Legge Zan, ha per oggetto “misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità” e si compone di dieci articoli con i quali vengono introdotti nuovi reati, previsto il relativo sistema sanzionatorio, istituita la giornata nazionale contro la discriminazione e confermata l’istituzione di centri di tutela delle vittime della discriminazione.
Dopo l’approvazione in prima lettura alla Camera dei Deputati la Legge ora passa all’esame del Senato della Repubblica per la definitiva approvazione.
Il testo di legge introduce nuove fattispecie penali che puniscono comportamenti che abbiano la finalità di discriminare in base al sesso, al genere, all’orientamento sessuale e all’identità di genere.
La Legge definisce direttamente all’articolo 1 i concetti di “sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere”.
Le Legge prevede le seguenti definizioni:
- per sesso si intende il sesso biologico o anagrafico;
- per genere si intende qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso;
- per orientamento sessuale si intende l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi;
- per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione.
Tale normazione apre un interrogativo sulla libertà di non condividere tali definizioni e sulle interpretazioni soggettive che ne conseguono in relazione anche all’art. 4 della medesima Legge.
L’art. 2 della nuova legge modifica l’art. 604 bis del Codice Penale che punisce le discriminazioni razziali, etniche, nazionali e religiose che così prevederà anche la repressione degli atti discriminatori fondati “sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”.
Le pene previste sono le seguenti:
- con la reclusione fino ad un anno e 6 mesi o multa fino a 6.000 euro, per chiunque istiga a commettere o commette atti di discriminazione fondati su tali motivi (primo comma, lett. a)
- con la reclusione da 6 mesi a 4 anni, per chiunque istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per tali motivi (primo comma, lett. b);
- con la reclusione da 6 mesi a 4 anni, per chiunque partecipa o presta assistenza ad organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per tali motivi (secondo comma).
All’articolo 3 viene anche modificato l’art. 604 ter del Codice Penale che prevede l’aggravante della pena per qualunque reato, punibile con pena diversa dall’ergastolo, commesso per finalità di discriminazione o di odio razziale, etnico, nazionale o religioso, o per agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le predette finalità in modo tale che preveda anche l’aumento della pena fino alla metà per i reati commessi per tali finalità.
Tale aggravante non potrà essere bilanciata in rapporto di equivalenza o di prevalenza con le attenuanti applicabili al reato contestato, e le eventuali diminuzioni di pena potranno essere operate solo sulla quantità di pena derivante dall’applicazione dell’aggravante.
L’articolo 4 della legge approvata alla Camera, introduce una sorta di clausola di salvaguardia della libertà di opinione prevista richiamandosi all’art. 21 della Costituzione, secondo il quale tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Il dettato dell’articolo 4 in particolare intende evitare che le nuove fattispecie penali introdotte dalla Legge sulla omotransfobia, che prevedono la punibilità delle condotte di istigazione (ossia di azioni di persuasione, o comunque incidenti sulla psiche o sulla volontà altrui), possano rappresentare il concreto pericolo di introdurre un reato di opinione ledendo quindi un diritto costituzionalmente tutelato, rendendo perseguibili, in una materia in cui non vi è uniformità di visioni, ma piuttosto pluralità di opinioni e di sensibilità, come istigazioni alla discriminazioni le manifestazioni di pensiero ad esempio in difesa della famiglia eterosessuale, o dissenzienti dal pensiero LGBT.
La formulazione finale del testo dell’art. 4 approvato alla Camera richiama sostanzialmente il dettato dell’art. 21 della Costituzione: “sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee e alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.
La conseguenza di questa formulazione comunque generica non potrà che demandare alla Magistratura il compito di stabilire, caso per caso, il confine tra una condotta legittima di espressione del pensiero e una esternazione di un convincimento sull’argomento che possa acquistare un carattere discriminatorio con le relative conseguenze di carattere sanzionatorio con la possibilità di diverse interpretazioni applicative da parte degli organi preposti.
L’articolo 5 del testo di Legge approvato alla Camera, prevede che la condanna per il nuovo reato di discriminazioni fondate sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, sia accompagnata dalla comminazione delle seguenti pene accessorie:
- obbligo di prestare un’attività non retribuita a favore della collettività,
- obbligo di permanenza in casa entro orari determinati,
- sospensione della patente di guida o del passaporto,
- divieto di detenzione di armi,
- divieto di partecipare in qualsiasi forma, ad attività di propaganda elettorale.
Inoltre, il beneficio della sospensione condizionale della pena potrà essere subordinato, se il condannato non si oppone, allo svolgimento di un lavoro di pubblica utilità. Se l’imputato avanza richiesta di sospensione del processo con messa alla prova, l’obbligo di svolgimento di un lavoro di pubblica utilità potrà essere applicato anche prima della condanna.
Ulteriore novità introdotte dall’art. 5 sono:
- l’eliminazione del limite massimo di durata del lavoro di pubblica utilità in dodici settimane;
- la possibilità di svolgere il lavoro di pubblica utilità presso le associazioni a tutela delle vittime dei reati di discriminazione.
L’articolo 6 interviene sul Codice di procedura penale per inserire le persone offese da reati commessi con odio fondato sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere, tra i soggetti in condizione di particolare vulnerabilità, che giustifica nell’ambito del procedimento penale l’adozione di specifiche cautele soprattutto nell’assunzione delle prove.
L’articolo 7 del testo di legge approvato alla Camera stabilisce che il 17 maggio venga celebrata la “Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia”, finalizzata a promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione e a contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivate dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere. Le iniziative per le celebrazioni saranno assunte dalle Pubbliche Amministrazioni e dalle Scuole, ma la giornata non avrà carattere di festività.
L’istituzione della giornata nazionale dovrà avvenire senza ulteriori oneri per il bilancio dello Stato.
L’articolo 8 affida all’UNAR (Ufficio per il contrasto delle discriminazioni istituito presso la Presidenza del Consiglio-Dipartimento per le Pari Opportunità, in attuazione dell’art. 7 del D.Lgs. n. 215/2003), il compito di elaborare ogni tre anni, in consultazione con le Amministrazioni Locali, le organizzazioni di categoria e le associazioni, una strategia nazionale di contrasto alle discriminazioni per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere, comprensiva di misure che incidano sul mondo dell’educazione e dell’istruzione, sul lavoro, sulla sicurezza, anche con riferimento alla situazione nelle carceri, sulla comunicazione e sui media e che dovrà individuare specifici interventi volti a prevenire e contrastare l’insorgere di fenomeni di violenza e discriminazione fondati sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere. L’art 8 integra il D.Lgs. 215/2003 che, in particolare, recepisce la direttiva 2000/43/CE e reca disposizioni relative alla parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica, prevedendo le misure necessarie ad evitare che le differenze di razza o etnia siano causa di discriminazione, diretta e indiretta, anche in considerazione del differente impatto che le medesime forme di discriminazione possano avere su donne e uomini e sull’esistenza di forme di razzismo a carattere culturale e religioso.
L’articolo 9 richiama e novellal’art. 105-quaterdel Decreto-Legge n. 34 del 2020(c.d. decreto Rilancio) convertito in Legge con modificazioni dalla Legge 17 Luglio 2020, n. 77, che incrementa di 4 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020 e 2021 la dotazione del Fondo pari opportunità, destinando tali risorse al finanziamento di politiche per la prevenzione e il contrasto della violenza per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere e per il sostegno delle vittime.
In particolare, il succitato provvedimento di cui all’art. 105-quater del D.L. n. 34/2020 prevede l’emanazione di un regolamento governativo contenente un programma per la realizzazione in tutto il territorio nazionale di centri contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale e identità di genere, volti a prestare assistenza legale, sanitaria, psicologica, alloggio e vitto non solo alle vittime dei reati di odio e discriminazione commessi per tali motivi, ma anche per tutti coloro che si trovino in condizione di vulnerabilità legata all’orientamento sessuale o all’identità di genere in ragione del contesto sociale e familiare di riferimento.
I centri potranno essere gestiti dagli enti locali o dalle associazioni operanti nel settore e dovranno operare in sinergia con la rete dei servizi socio-sanitari e assistenziali territoriali.
Spetterà al regolamento individuare i requisiti organizzativi dei centri, le loro tipologie e le categorie professionali che vi potranno operare, le modalità di erogazione dei servizi.
L’articolo 10 demanda a ISTAT lo svolgimento di indagini – con cadenza almeno triennale – sulle discriminazioni, sulla violenza e sulle caratteristiche dei soggetti più esposti al rischio, al fine di verificare l’applicazione della riforma e implementare le politiche di contrasto delle discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, oppure fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere. L’Istat dovrà applicare i “quesiti contenuti nell’Indagine sulle discriminazioni condotta dall’Istituto nazionale di Statistica a partire dal 2011”.