Si è posata la sabbia sul Nord della Siria

Si è posata la sabbia sul Nord della Siria

Nel clamore di questi giorni, abbiamo letto tanto sulla situazione nel nord della Siria e sull’invasione turca, ora però che è passato qualche giorno, possiamo provare a tirare le prime conclusioni.

La prima impressione è che, nonostante le dichiarazioni più o meno allarmate da parte degli attori in gioco, è difficile che, per velocità, coordinamento delle forze e risultati, non sia stata un’operazione concordata preventivamente sicuramente tra Russia, USA, e Turchia, e almeno in parte notificata, anche a Siria, Iran e curdi siriani.

Credo che sia anche possibile iniziare a tracciare una parziale bilancio di chi ci abbia guadagnato e perso, che è, per ora, tutto sommato, abbastanza equilibrato.

La Turchia, innanzitutto, si crea un’area cuscinetto profondo qualche chilometro in territorio siriano per evitare la saldatura tra le regioni curde turche e quelle siriane, ma soprattutto, paventando ai curdi di oltreconfine la minaccia di un conflitto diretto, li spinge ad accettare il ritorno delle truppe governative siriane nella regione, facendone cosi tramontare le velleità indipendentistiche, che avrebbero potuto presentare un pericoloso magnete per quelle in patria.

I curdi, dunque, perdono l’opportunità di poter formare uno stato autonomo, tanto agognato. Probabilmente però questa sarebbe potuta essere un’ambizione comunque difficile da mettere a terra, considerando che gli altri Paesi in cui questo popolo è presente, come appunto Turchia, ma anche Iran e Iraq, avrebbero comunque fatto di tutto perché questo progetto non si realizzasse, temendo forti ripercussioni interne. I curdi sono riusciti, resistendo strenuamente, a sopravvivere a Daesh e alla guerra civile e, se giocano bene le loro carte, potrebbero tornare ad avere non solo ampi margini di autonomia in Siria ma anche un importante ruolo nella rifondazione del Paese.

Bashar Assad invece ha l’occasione di portare a termine la riconquista quasi totale del Paese, tornando, quasi senza colpo ferire, in una regione che comprende circa un terzo del territorio nazionale e importanti regioni petrolifere, dove però dovrebbero rimanere ancora dei drappelli di truppe americane.

La Russia poi diventa l’arbiter della regione, andando a prendere il posto degli USA come forza d’interposizione tra turchi e curdi al confine. Posizione però che sarà impegnativa da mantenere nel futuro, a causa dell’estrema volatilità della regione. Da grandi poteri derivano anche grandi grattacapi.

Trump, invece, ha l’occasione di iniziare il ritiro delle sue truppe dal territorio siriano, concepito sia come appoggio ai curdi per combattere Daesh, che come mezzo per impedire all’Iran di costruire un corridoio terrestre sino al Mediterraneo, passando per il nord Iraq sciita, la Siria e il Libano, tutti Paesi dove esercita una notevole influenza. La decisione potrebbe essere nata sia da considerazioni elettorali di breve termine sia dalla convinzione che, in un futuro non troppo lontano, Turchia, Russia e Iran si controbilanceranno e consumeranno a vicenda, in un’area che oramai non è comunque più cosi strategica come in passato.

Gli unici attori che sembrano essere stati esclusi dal processo decisionale sono i Paesi europei, in uno scacchiere importantissimo per la nostra sicurezza, partendo proprio dalle crisi umanitarie scatenate da questi conflitti. Se da un lato è molto difficile prendere decisioni unitarie a livello europeo, a causa della frammentazione delle politiche, dall’altro l’Italia però ha degli interessi indiscutibili nella regione oltre all’immigrazione: non dimentichiamoci, infatti, che la Siria ospita alcune tra le comunità cristiane più antiche o che guidiamo un contingente militare in missione di pace in Libano. Anche le nostre aziende sono in prima fila: l’Eni, per esempio, è molto presente nel mediterraneo orientale e, solo un anno e mezzo fa, la Turchia ha mandato delle navi da guerra per impedire all’azienda di effettuare prospezioni al largo della costa cipriota. Il nostro Paese ha quindi tutto l’interesse ad avere un ruolo nell’area, utilizzando la propria appartenenza all’area europea, gli storici legami con il Vaticano e anche i legami con l’alleato americano, ma è indispensabile che sviluppi una strategia estera decisa e coerente se vuole difendere i propri interessi nazionali e la popolazione in loco.

Marco Lucchin