DEBOLEZZE E MINACCE DIETRO IL RECOVERY PLAN ITALIANO

DEBOLEZZE E MINACCE DIETRO IL RECOVERY PLAN ITALIANO

(di Simone Budini, Professore di Filosofia Politica, socio fondatore di InPatto)

È stato finalmente approvato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Leggiamo sul sito ufficiale del Ministero dell’Economia e della Finanze: che si tratta dello strumento “per cogliere la grande occasione del Next Generation EU e rendere l’Italia un Paese più equo, verde e inclusivo, con un’economia più competitiva, dinamica e innovativa” (https://www.mef.gov.it/focus/Next-Generation-Italia-il-Piano-per-disegnare-il-futuro-del-Paese/).

Tramite il PNRR l’Italia adotta una strategia complessiva che mobilita oltre 300 miliardi di euro, il cui fulcro è rappresentato dagli oltre 210 miliardi delle risorse del programma Next Generation Ue, integrate dai fondi stanziati con la programmazione di bilancio 2021-2026. La previsione è che questo conduca il Paese a una crescita del PIL di 3 punti percentuali al 2026.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha tre parole chiave che dovremo tenere costantemente sott’occhio: Sostenibilità, Inclusione e Digitalizzazione. Dietro a queste però oltre a opportunità e punti di forza, ci sono una serie di possibili debolezze e minacce su cui è bene alzare l’attenzione fin da subito.

SOSTENIBILITÀ

Per sviluppo sostenibile è importante recuperare la prima definizione (del 1992) nella quale si fa riferimento allo sviluppo volto a soddisfare i bisogni della generazione presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di far fronte ai propri bisogni (https://web.archive.org/web/20180606051307/http://www.globalfootprints.org/sustainability).

Parlando di sostenibilità, il tema generazione è infatti cruciale: è forse il primo e più importante di ogni altro. Sebbene sia indiscutibile che ci sia una questione ambientale (la qual cosa è ben più che strategica: è forse la madre di ogni battaglia), bisogna però anche riconoscere che il tema è importante non tanto per la natura in sé, ma per l’essere umano. A rischiare infatti non è il mondo ma l’uomo. Il mondo, inteso come pianeta o ecosistema, a malapena si accorge della nostra presenza: per esso siamo poco più che un insignificante battito d’ali. Basti pensare che gli animali hanno iniziato ad abitare la terra ferma circa 470 milioni di anni fa; i famosi dinosauri, per dire, l’hanno abitata per 180 milioni di anni; gli ominidi ci sono da un paio di milioni e noi, i sapiens, da 200.000 ca.

Il mondo, quindi, non sa neanche che esistiamo: la questione ambientale è anzitutto un nostro problema!

Ad ogni modo, connessa alla Sostenibilità, ci sono due rischi fondamentali:

  1. Il primo è quello del greenwashing. Tanto il pubblico quanto il privato saranno tentati di abbracciare la moda “green” con un restyling estetico, progetti effimeri che non rimettono seriamente in discussione i propri business model. Quest’ecologismo di facciata, costruito da strategie benefiche e “caritatevoli” ma non realmente sostenibili, è quello che è stato già definito giustamente “ecopornografia” (Jerry Mander, 1960).
  1. Il secondo rischio è l’ecologismo radicale. Un’interpretazione eco-centrica per la quale l’uomo sarebbe il male di questo mondo, da sradicare. L’opposto dell’ecologia integrale auspicata da papa Francesco, insomma. Un tentativo di considerare l’umanità nella sua sola animalità, auspicandone però la fine. Questa lettura della realtà raramente trova espressione esplicita. Si manifesta piuttosto in quegli ambienti ecologisti che vedono nel numero della popolazione umana il problema fondamentale dell’ambiente e si rifanno a teorie neomalthusiane di controllo demografico per il vero benessere. 

Il tema però, come abbiamo detto è anzitutto la “prossima generazione”. Non a caso il Recovery Plan for Europe si chiama “Next Generation EU”. 

INCLUSIONE

L’Italia dovrà essere più inclusiva, accogliente, capace di integrare. Benissimo. Ma anche qui si cela un rischio non da poco.

Quel che bisognerà evitare sarà farsi dettare l’agenda delle priorità dalla moda, dai media e social-network, e non da numeri reali. Regolarmente la tendenza del momento accende i riflettori su questioni la cui rilevanza sociale è connessa molto più alla fama dei personaggi che la espongono dei veri numeri che la riguardano.

Ecco allora che oltre all’agenda dei “diritti” di gruppi ben organizzati, bisognerà occuparsi di tutti quelli che non destano scandalo, che non fanno notizia. Si tratterà di includere anzitutto le donne nel mondo del lavoro (la qual cosa è intimamente connessa con l’accoglienza della maternità e il riconoscimento di questa come bene comune), immediatamente dopo vi è il tema dei giovani, del valore dello studio, dell’accesso al lavoro, dell’imprenditorialità, delle giovani coppie che vogliono iniziare una famiglia, etc.

Parallelamente a queste due macro-linee di azioni (tra l’altro già identificate dal PNRR) non dovranno essere lasciati a terra le questioni delle disabilità e delle diversità culturali.

DIGITALIZZAZIONE

Arriviamo dunque al terzo punto, quello forse più innovativo. Non fare a pieno la svolta della quarta rivoluzione industriale vorrà dire per l’Italia uscire definitivamente dal “primo mondo”, se ancora si può dire in questi termini. Si tratta di un treno che non deve essere perso. E fin qui sono già tutti d’accordo.

Il tema dell’innovazione è che va fatta con raziocinio. Il cambiamento per il cambiamento non è garanzia di successo, anzi! Una cosa è mettere il guanciale nella cacio-e-pepe e inventare la gricia, altra è mettere l’ananas sulla pizza margherita.

Fuor di metafora, il senso è che il processo di digitalizzazione è proposto dai novelli “profeti del progresso” come la panacea di ogni male, la soluzione a ogni problema. Ma non è così. Per due ordini di motivi:

  1. Anche questa rivoluzione digitale, come le altre tre precedenti, porterà forti scossoni all’interno del Paese. Farà scomparire lavori e ricomparirne altri. Il processo, se non sarà guidato con attenzione, causerà più ingiustizie e disuguaglianze di quanto i programmi di inclusione sapranno riassorbire. Questo perché non esiste strumento neutrale. Ogni nuovo dispositivo, ogni aggiornamento tecnologico, ha sempre una intrinseca componente distorsiva
  1. Il secondo motivo per il quale la digitalizzazione non rappresenterà le chiavi dell’Eden è perché non esiste soluzione tecnica a un problema morale. Le difficoltà, le arretratezze, le fragilità del sistema Italia non sono solo una questione organizzativa, o di arretratezza di sistemi tecnologici. Sono anche connesse con una certa cultura, un modo di fare, un costume vizioso che non sarà debellato automaticamente dalla questa “smart revolution”, ma può trovare solo nell’educazione una risposta.